Tu sei qui

Midterm: un voto per la working class

di Meagan Day*
06/11/2018 - 19:16

Julia Salazar, candidata al senato per lo stato di New York parla di elezioni, socialisti e partito democratico, centralità dei movimenti e scioperi

Incalzata dalla vittoria inaspettata della socialista a Alexandria Ocasio-Cortez contro un candidato in carica da ben dieci mandati nelle primarie democratiche del Queens e Bronx, la leader della minoranza della camera Nancy Pelosi ha giurato che il socialismo non è in crescita. È stato un po’ come sentirsi dire da un agente immobiliare che la casa non è stregata: l’unico motivo per cui dovrebbe dirtelo è che ci sono stati degli avvistamenti, e di notte le scale scricchiolano.

Il 6 novembre gli elettori avranno l’opportunità di eleggere al senato per lo stato di New York un’altra donna che fa parte dei Democratic Socialist of America (Dsa). A Brooklyn, la ventisettenne Julia Salazar si candida con un programma che comprende un sistema sanitario pubblico e gratuito, la casa come diritto fondamentale, la difesa delle scuole pubbliche dalla privatizzazione, l’espansione della contrattazione collettiva e la soppressione di carcerazioni e deportazioni di massa. Meagan Day, per conto di Jacobin, ha incontrato Julia Salazar, e ha parlato dei fallimenti dell’establishment del Partito democratico, della differenza tra socialisti e progressisti, e di come i candidati socialisti possano rimanere affidabili per la working class una volta ottenuto l’incarico.

MD: Come sei diventata socialista?

JS: La mia famiglia è immigrata negli Stati uniti dalla Colombia quando ero una bambina, e mia mamma ha cresciuto me e mio fratello come una madre single, senza educazione universitaria e con una provenienza operaia. La mia non era una famiglia particolarmente attiva politicamente, ma mia madre era così risentita per la sua condizione da sviluppare una serie di opinioni reazionarie e conservatrici: è questo l’ambiente in cui sono cresciuta. Quando ho iniziato a lavorare in un negozio di generi alimentari avevo quattordici anni. Per tutte le scuole superiori ho lavorato nell’industria dei servizi e sono diventata sempre più consapevole della discrepanza tra la visione politica che mi circondava e il mio interesse personale. Essendo una persona che sopravviveva grazie ai sussidi statali, queste cose mi sembravano sempre più in contrasto fra loro. Sono andata al college alla Columbia e ho lavorato come collaboratrice domestica, prendendomi cura dei bambini, pulendo le case delle persone. È stata la combinanzione tra l’educazione politica che ho ricevuto al college e il mio sviluppo autonomo di una coscienza di classe a portarmi alla mia identità socialista.

MD: Quando sei diventata un’attivista?

JS: La mia prima esperienza è stata organizzare il mio condominio. Vivevo in un condominio ad Harlem posseduto e gestito da una società abusiva e negligente, che non riscaldava adeguatamente l’edificio nei mesi invernali e non aveva agito tempestivamente nell’effettuare alcune riparazioni urgenti per la vivibilità della struttura. Avevo ventun anni e nessuna esperienza legale, andai sul sito del comune e capii che avremmo potuto legalmente rifiutarci di pagare l’affitto. Parlai con i miei coinquilini e con gli altri condomini e organizzammo uno sciopero dall’affitto. Non pagammo per tre mesi. Alla fine, la società ci trascinò in tribunale. Mi presentai in tribunale con un grosso plico che documentava le condizioni dell’edificio e ottenemmo alcuni sgravi fiscali da parte del proprietario. Ovviamente, la società non mi permise di rinnovare il contratto e l’edificio non era soggetto a norme che calmierassero gli affitti. Così alzarono le tariffe costringendoci ad andarcene. Tuttavia, quell’esperienza mi ha fatto capire profondamente  quanto ci sia bisogno di un cambiamento sistemico.

MD: Come definiresti il socialismo democratico?

JS: In generale, essere una socialista democratica significa avere una visione del mondo dove ci si prende cura di tutti e tutte. Combattiamo per una società in cui le persone valgano più dei profitti, in cui ciascuno abbia accesso alle cose di cui ha bisogno non solo per sopravvivere, ma per vivere bene. Nella mia campagna elettorale questo si traduce in specifiche prese di posizione su politiche a breve termine che includono un sistema sanitario pubblico e gratuito, l’allargamento a tutto lo Stato delle norme che stabilizzano gli affitti, l’eliminazione della cauzione [che consente di uscire di prigione in base al livello di reddito e non in base alla situazione processuale, Ndt], della pratica di incarcerazione di massa, e così via.

MD: Cosa distingue un socialista democratico da un progressista?

JS: Un socialista democratico considera il capitalismo come un sistema intimamente oppressivo, e lavora attivamente per smantellarlo e per dare potere alla working class e alle fasce marginalizzate della nostra società. Nel capitalismo, i ricchi sono capaci – attraverso il controllo privato delle industrie e di quelli che dovrebbero essere servizi pubblici – di accumulare ricchezza tramite lo sfruttamento di lavoratori e sottoproletari. Di fatto, questo meccanismo perpetua e incrementa le diseguaglianze. Un progressista si limita a proporre riforme che aiutano le persone, ma che non trasformano necessariamente il sistema. Per esempio, un progressista può sostenere che i padroni di casa debbano compiere le riparazioni necessarie negli edifici che possiedono. Ma, a meno che non si lotti per un controllo universale sugli affitti e, perché no, anche per l’abolizione della proprietà privata – benché non faccia parte del programma della mia campagna elettorale, perché poco realistica in questo momento come proposta – quello che si fa è essenzialmente rimandare il problema. Essere un legislatore di orientamento democratico-socialista significa spingere per cambiamenti che influenzino positivamente la vita materiale delle persone, ma che riescano anche ad avvicinarci a un sistema economico genuinamente socialista.

MD: Mi sembra che tu stia dicendo che un progressista e un socialista democratico possono condividere alcune proposte politiche fondamentali, ma per un socialista democratico l’obiettivo è quello di dare potere alla working class per vincere le future battaglie contro il capitalismo, mentre per i progressisti più spesso è creare dei palliativi.

JS: Sì, fanno più una riduzione del danno, ecco come li descriverei.

MD: Quali sono stati i principali fallimenti dell’establishment del Partito democratico, e a quali interessi da conto attualmente il partito?

JS: Prendi le reazioni scaturite dalla vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez contro Joe Crowley nelle primarie democratiche per il suo distretto congressuale a New York. L’ala dominante del Partito democratico, centrista e liberale, non è per nulla in linea con ciò che la maggioranza dei suoi iscritti alle liste elettorali – che, va detto, appartengono alla working class – vuole effettivamente, e con le politiche che li interessano di più. Credo che gli elettori del Partito democratico abbiano molta più immaginazione politica dei dirigenti del partito, sia a livello federale che nelle compagini locali. Il problema principale è la mancanza di immaginazione politica, l’approcciare ogni questione partendo da una posizione di compromesso, anziché essere pronti a combattere per la working class, per gli ultimi.

MD: Quante possibilità pensi che ci siano per i socialisti di trasformare il Partito democratico in un organismo che lotta per gli interessi della working class? Può essere riformato, oppure è soltanto uno strumento temporaneo verso la costruzione di politiche socialiste indipendenti?

JS: Credo più alla seconda ipotesi. La mia idea è che la trasformazione del Partito democratico possa al limite essere un obiettivo secondario. Il sistema bi-partitico ha di fatto escluso dal voto le persone, e non riesco a vedere il Partito democratico come un vascello da guerra per la rivoluzione socialista. Dunque sarebbe stupido e poco lungimirante per i socialisti investire tempo e risorse in questo progetto.

MD: D’altro canto, ci sono persone che sostengono che i socialisti dovrebbero candidarsi solo al di fuori del Partito democratico. Qual è la tua risposta?

JS: Dovrebbero dirlo alle oltre 150.000 persone che nel mio distretto vivono nella paura di essere sfrattate dalle loro case, e che sono iscritte come elettori democratici in uno Stato con primarie bloccate. È fuor di dubbio che sia tatticamente fondamentale, qui, a New York – anche se non è così dappertutto, mi sento di aggiungere – candidarsi con i democratici per avere potere come militante di sinistra. Per mobilitare le persone attorno a politiche sociali devi coinvolgere gli elettori democratici, e nel mio distretto non puoi farlo in maniera significativa senza candidarti nelle liste del Partito democratico. Recentemente ho supportato Jabari Brisport, militante dei Democratic Socialist of America che si è candidato col Green party in un distretto diverso dal mio. Sarebbe fantastico se riuscissimo ad evitare le liste del Partito democratico e credo che sia un problema rilevante per chi si candida in situazioni differenti dalla mia; ma se avessi provato a fare una cosa del genere nel mio distretto, dubito fortemente che le persone avrebbero dato il proprio voto a un candidato di un terzo partito nelle elezioni generali.

MD: L’obiettivo principale di una campagna elettorale socialista è ottenere i seggi e legiferare oppure costruire un movimento che veicoli dei messaggi? Se l’obiettivo è il secondo, si può ottenere soltanto attraverso le competizioni elettorali?

JS: L’obiettivo è costruire un movimento. Altrimenti, sul lungo periodo, sei semplicemente un riformista. Ma dimostrare la nostra potenzialità è parte del costruire questo movimento, dimostrare a chi vogliamo coinvolgere nel movimento che il movimento sta crescendo ed è vitale. Abbiamo anche bisogno di diffondere un messaggio per costruire questo movimento, dobbiamo sconfiggere radicalmente gli sforzi compiuti dal sistema per isolarci e alienarci gli uni dalle altre. Affermarlo è una delle cose più importanti di campagne elettorali come la mia. Allo stesso tempo, è importante eleggere candidati che possano entrare negli organi legislativi e combattere realmente per politiche che trasformino la vita materiale della working class. Le elezioni sono un obiettivo a breve termine, mentre l’obiettivo a lungo termine è costruire il movimento, ma le due cose non si escludono a vicenda. Il modo in cui la gente risponde a queste elezioni – per esempio, nel caso di Alexandria Ocasio-Cortez, il modo in cui ha risposto all’elezione nel Bronx per il governo federale di una socialista di origini latine e operaie – può avere un grosso impatto sul movimento su scala nazionale. Le campagne elettorali dei socialisti democratici hanno invogliato le persone ad attivarsi per il movimento socialista negli Stati uniti. E anche se penso che Alexandria Ocasio-Cortez sia alla sinistra di Bernie Sanders, e che io stessa sia alla sinistra di Sanders, non c’è dubbio che la sua campagna ha generato un’incredibile interesse attorno al socialismo. Quando io faccio i porta a porta e parlo di socialismo democratico, le persone lo identificano di primo acchito con Sanders, perché la sua campagna elettorale ha diffuso questo concetto.

MD: Qual è la natura del tuo coinvolgimento nei Dsa, e quanto sono coinvolti i Dsa nella tua campagna?

JS: I Dsa sono coinvolti a pieno titolo nella mia campagna, in particolare nelle attività sul campo. Sono stata coinvolta attivamente nei Dsa di New York City per almeno due anni. Sono nella commissione organizzativa del nostro Collettivo di femministe socialiste e ho gestito la nostra agenda e portato avanti il lavoro amministrativo, e sono stata coinvolta in numerose campagne. Sono stati soprattutto gli altri membri dei Dsa – uno dei quali è ora il direttore della mia campagna elettorale – a convincermi a candidarmi. La strategia elettorale nazionale dei Dsa ha dato forma alla nostra campagna, e membri dei Dsa hanno fatto volontariato per la campagna da quando siamo partiti ad aprile. Dunque i Dsa hanno giocato un ruolo cruciale sin dall’inizio.

MD: Cosa ne pensi dell’ondata di scioperi degli insegnanti? È una nuova alba per la militanza nel mondo del lavoro, e se sì cosa la spiega? E qual è il ruolo del lavoro organizzato e militante nella lotta per un mondo socialista?

JS: Lo sciopero è lo strumento più potente che hanno i lavoratori organizzati contro il padrone. Per cui, vedere questi lavoratori scioperare in grandi numeri negli stati del «Right to Work» prima della sentenza Janus [si riferisce a una misura per minare l’aspetto collettivo del sindacalismo che vieta ogni forma di appartenenza/contribuzione obbligatoria ai sindacati da parte dei lavoratori soggetti alla contrattazione collettiva. Janus indica invece una sentenza della Corte Suprema, dell’anno scorso, secondo cui gli impiegati non devono pagare le contribuzioni sindacali sebbene godono dei risultati della contrattazione collettiva, Ndt] ,è fonte di grande ispirazione. Il movimento socialista ha bisogno di essere guidato dalla working class, così quando vediamo i lavoratori e le lavoratrici unirsi gli uni con le altre in solidarietà per scioperare in tutto il paese è un fatto importante per noi. Di più, le questioni che riguardano il mondo del lavoro sono legate a tutte le altre affrontate dalla working class, come l’assistenza sanitaria, ed è stato meraviglioso vedere come ciò sia emerso durante lo sciopero degli insegnanti. Un vero movimento socialista sarà tale solo se il potere sarà della working class, e se eserciterà anche il potere che abbiamo attualmente. Nello Stato di New York, i lavoratori del settore pubblico non hanno diritto di sciopero per via della Legge Taylor. Parte del mio programma, e argomento di dibattito con il movimento dei lavoratori durante tutta la mia campagna, è la necessità di modificare la Legge Taylor per permettere ai lavoratori del settore pubblico di scioperare, soprattutto adesso. Dopo la sentenza Janus lo sciopero sarà lo strumento più importante in mano ai lavoratori.

MD: Ritornando a quanto detto prima, mi colpisce che un buon esempio della differenza fra un candidato progressista e uno democratico socialista sia che un progressista non insiste necessariamente per la modifica della Legge Taylor, perché i progressisti sono convinti in certa misura che i rappresentanti eletti possano prendersi cura delle cose – ad esempio, possono ottenere per i lavoratori dei cambiamenti, come l’aumento del salario minimo. Un socialista non vuole semplicemente che passi una legge a beneficio della working class, ma vuole rimuovere gli ostacoli affinché la working class si auto-organizzi politicamente.

JS: Esatto. In fondo il cuore del discorso è dare potere alla working class. E sarà molto più importante che fare riforme favorevoli. Non ci sono dubbi sul fatto che abbiamo bisogno di espandere e finanziare lo stato sociale, ma se lo facciamo senza alterare le strutture fondanti che privano le persone di potere e le costringono alla schiavitù salariale, non vedremo mai dei cambiamenti a lungo termine.

MD: Sappiamo che il sistema dei partiti è forte ad Albany. Allo stesso tempo, i capitalisti fanno pressioni sui processi politici, direttamente, finanziando campagne specifiche, e indirettamente, attraverso il ricatto del disinvestimento di capitali. Per cui, se vinci, che tipo di pressioni e ostacoli pensi che dovrai affrontare nel portare avanti un programma democratico socialista, e quali strategie pensi di adottare per superare questi ostacoli senza compromettere i principi socialisti?

JS : Lavorando nell’assemblea legislativa di New York, prevedo difficoltà quando ci sono interessi differenti che provano a compromettere l’integrità del legislatore. A New York vediamo un gruppo di cosiddetti progressisti nel senato statale che recentemente, appena hanno ottenuto il potere, hanno stretto un accordo con il Partito repubblicano. Non sono interessata, come puoi immaginare, al fatto che hanno tradito il Partito democratico, ma hanno tradito la working class. L’hanno tradita non solo formando un caucus comune con i repubblicani, ma cedendo il potere di cui erano stati investiti e che gli era stato affidato dal processo elettorale. Non credo che lo abbiano fatto perché in segreto sono tutti repubblicani, ma perché hanno negoziato un accordo da cui avrebbero tratto vantaggio, che avrebbe portato più soldi al budget dei loro distretti e migliori prospettive di carriera per loro. Hanno fatto questo compromesso per i loro stessi interessi. Credo che ci sarà sempre un interesse privato che preme per ottenere il favore del legislatore, e il modo migliore per rimanere affidabile per la working class – e cioè, in primo luogo, per le persone che eleggono un socialista – è rimanere materialmente vicina a queste persone, ad esempio non accettando soldi dalle corporation. L’importanza di condurre una campagna elettorale che parte dal basso non è una semplice questione di principio, ma nella pratica significa che se sei stata eletta da una campagna finanziata interamente dal movimento, allora è più probabile che resti affidabile per il movimento stesso.

MD: Qui, in California, Gayle McLaughlin ha fatto una campagna elettorale democratica socialista per essere eletta vice-governatrice. Non ha vinto, ma una delle sue idee – oltre ad essere stata finanziata esclusivamente dalla working class – è stata quella di dare vita a un “gabinetto ombra” di persone di sinistra provenienti dal movimento, che la aiutasse nel prendere le decisioni e a tenerla salda nelle sue posizioni. Rappresentanti già eletti le hanno dato suggerimenti tutto il tempo; il suo obiettivo con quest’idea era di controbilanciare le loro pressioni prestando ascolto ad altre persone, che avrebbero necessariamente prodotto analisi differenti. Che ne pensi?

JS: È una buona idea. Un legislatore democratico socialista ha bisogno di essere guidato, in primo luogo e soprattutto, da politiche di classe e analisi materialiste. A tale scopo è importante circondarsi fin dall’inizio di persone che sono in sintonia con questa visione. Per esempio, nella mia campagna, noi non stiamo assumendo nessun consulente. Non che un consulente sia una cosa negativa per principio, ma il mio staff socialista e io siamo molto prudenti nel coinvolgere persone che ci consiglieranno di scendere a compromessi sui nostri valori fondamentali di socialisti. Lo stesso standard va mantenuto nel mettere insieme lo staff una volta eletta. Non devono necessariamente essere membri effettivi dei Dsa, ma bisogna essere sicuri che le persone che ci consigliano non siano invischiate nel sistema che ci opprime.

*Meagan Day è una collaboratrice di Jacobin Usa. Qui l’articolo originale su jacobinmag. La traduzione è di Gaia Benzi.