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Frequenze televisive, gatta ci cova

Tecnologia e innovazioni
Italia 12/02/2015 - 21:45

di Vincenzo Vita, il Manifesto – «Molto rumore per nulla», il titolo della famosa com­me­dia sha­ke­spea­riana. E ugual­mente si potrebbe dire dell’ultimo (?) colpo di coda pole­mico sulle fre­quenze tele­vi­sive. Nella discus­sione in corso nelle com­mis­sioni della Camera dei depu­tati sul decreto «mille pro­ro­ghe», il governo ha rifor­mu­lato un emen­da­mento sui canoni richie­sti alle emit­tenti per l’uso dello spet­tro her­tziano. Atto dovuto, ancor­ché il voto sia al momento rin­viato, dopo una sequenza nor­ma­tiva con­trad­dit­to­ria. Siamo in pre­senza di un ter­ri­to­rio male­detto, la quin­tes­senza del con­flitto di inte­ressi. Tanto è vero che Dio solo sa cosa ci volle per varare l’articolo della Finan­zia­ria del 2000 che portò all’uno per cento del fat­tu­rato delle aziende il dovuto per l’utilizzo di un bene – non dimen­ti­chia­molo– pub­blico. Sì, l’etere è come l’acqua o l’aria e non dovrebbe essere gestito con logi­che pro­prie­ta­rie. L’annunciata ini­zia­tiva dell’Esecutivo altro non è che la messa in ordine di addendi impaz­ziti. Infatti, la deci­sione della legge n.488 del 1999 (l’1%) fu supe­rata da un decreto del 2012 del governo Monti che usava come cri­te­rio di cal­colo non i canali, bensì le reti di trasmissione.

L’opinabile «inter­pre­ta­zione auten­tica» data nel set­tem­bre scorso dall’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni chiu­deva il cer­chio, diven­tando uno sconto assai rile­vante per Rai e Media­set. Una delle con­se­guenze — dovendo rima­nere inva­riato il monte com­ples­sivo — era pure il forte incre­mento di esborso da parte degli altri ope­ra­tori, da «la7» alle emit­tenti locali. In tutto que­sto, le indi­ca­zioni della Com­mis­sione euro­pea veni­vano eluse o sot­to­va­lu­tate. Di qui, l’annuncio rei­te­rato del sot­to­se­gre­ta­rio Gia­co­melli di rive­dere la mate­ria. Un primo decreto venne alla luce il 29 dicem­bre dell’anno pas­sato, pub­bli­cato dalla Gaz­zetta Uffi­ciale del 19 gen­naio: in base al quale si dovrebbe pagare un acconto del 40% rispetto a quanto ver­sato nel 2013: «Nelle more della deter­mi­na­zione… con suc­ces­sivo decreto…dei con­tri­buti…». Ci siamo? Sem­bre­rebbe una sequenza pre­vi­sta e descritta in maniera appa­ren­te­mente espli­cita. Come mai, allora, Forza Ita­lia ha gri­dato allo scan­dalo ed è stato tirato in ballo il mitico patto del Naza­reno? Gatta ci cova, come si dice. Forse, dav­vero, più che il «patto» — incri­nato, se non rotto — qui c’entra lo «spi­rito del Naza­reno»: un sot­to­te­sto per­vi­cace e soprav­vis­suto per­sino agli ondeg­gia­menti della super­fi­cie politica-politica.

Quest’ultima forse tra­balla dopo l’elezione al Colle di Ser­gio Mat­ta­rella, o così si vuole far cre­dere. Ma il noc­ciolo duro della «pax tele­vi­siva» non può crol­lare, se no crolla dav­vero tutto. Ber­lu­sconi ama rac­con­tare bar­zel­lette, ma sul diritto di pro­prietà non scherza pro­prio. Che governi o stia all’opposizione o navi­ghi in mezzo al guado, fa lo stesso. «Dio (il vec­chio Caf, quando Mat­ta­rella si dimise dal governo) me le ha date (tre reti nazio­nali e il resto), guai a chi me le tocca». Insomma, la rea­zione urlante e spro­por­zio­nata all’annunciato emen­da­mento sulle fre­quenze ci rac­conta un aspetto cru­ciale del potere ita­liano. La tele­vi­sione non è solo la Regina dei media, quanto piut­to­sto il col­lante di un sistema altri­menti logoro e ingiallito.