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La propaganda del Ministro del Lavoro Di Maio sul decreto "dignità" è semplicemente indegna

Lavoro
Italia 09/08/2018 - 11:51

 

Chi mme piglia pe’ Frangesa, chi mme piglia pe’ Spagnola, ma só’ nata ô Conte ‘e Mola, metto ‘a coppa a chi vogl’i’… Così canta Concetta, in arte Lilì Kangy. Ma quando la macchietta della Napoli della Bella Époque si applica al teatro della politica, diventa: Chi mi piglia per uno destra, chi mi piglia per uno di sinistra, ma io vengo da Pomigliano e vi prendo in giro come e quando voglio io.

Gigino Di Maio è la nuova Lilì Kangy. Armato di un sorriso da paresi facciale, vende Vesuvio e Colosseo come Totò, meglio di Totò. Pretende di vendere il suo "Decreto Dignità" come se fosse capace di imporre regole stringenti contro la precarietà agli imprenditori e favorire in tal modo contratti stabili e a tempo indeterminato. Sarà la fine della precarietà… annuncia.

Ma quando si passa dall’avanspettacolo alla sostanza, cioè ai numeri e ai fatti concreti, si scopre che il confine tra l'imbonimento e la truffa è sottilissimo.

Intanto, va chiarito che le misure per il trionfo della "dignità" si applicano solo quando si superano i 24 mesi di durata; prima di questa scadenza, c'è libertà di licenziamento e zero restrizioni, tale e quale come nel Jobs Act di Renzi. Ma quanti sono i precari i cui contratti superano i 24 mesi?

Risponde uno studio della Regione Veneto, “L’impatto del Decreto dignità sui contratti a tempo determinato e di somministrazione”, che prende in esame i contratti a tempo determinato attivi nella regione nel 2017.

Ebbene, su un totale di 616.831 contratti, quelli superiori a 24 mesi sono solo 63.000, poco più del 10%. Il decreto, però, non si applica ai contratti classificati come stagionali o relativi al settore agricoltura o afferenti alla Pubblica Amministrazione. Di conseguenza i 63.000 si riducono a 29.000, il 4,7% del totale. Di questi 29.000 contratti, nel 2017 un terzo sono stati rinnovati a tempo determinato, un terzo sono diventati a tempo indeterminato, per il restante terzo i titolari di contratto sono andati a cercare fortuna altrove o si sono aggiunti all’esercito dei disoccupati.

In definitiva (conclude l’Osservatorio di Veneto Lavoro) il nuovo Decreto, qualora fosse stato in vigore già nel 2017, avrebbe bloccato in Veneto la prosecuzione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in 4.490 casi, meno dell’1% del totale dei contratti a tempo.

Poiché si può presumere che il quadro nazionale non sia diverso da questo, anzi (essendo il Veneto una delle regioni con il tasso di occupazione più alto), parlare di "rivoluzione" e di "fine del precariato" è semplicemente ridicolo. Ma tanto basta per far dire al nostro e ai suoi galoppini che questo è solo l’inizio del cambiamento. Già: quale sarà la prosecuzione? Un buon indizio delle nuove misure a venire l'abbiamo nel passaggio dal "Decreto dignità" 1.0 al "Decreto dignità" 2.0.

É bastato infatti che la Confindustria, la lobby delle Agenzie interinali (Assolavoro) e i padroncini del nord-est, viziati da decenni di maxi-regali a loro favore dai governi di centro-destra, "tecnici" e di centro-sinistra, e sempre più insaziabili nei loro appetiti, alzassero la voce che Gigino Di Maio, il fasullo santo protettore dei precari, ha fatto rapidamente macchine indietro.

"Pretendiamo che le nuove norme non si applichino alle proroghe e ai rinnovi dei contratti di lavoro in corso al 14 luglio, come previsto nel decreto 1.0": d'accordo. "Vogliamo che i contratti a tempo si possano rinnovare senza causale almeno fino al 31 ottobre!": accordato (così le imprese avranno tutto il tempo necessario per mettere nel nulla i pochissimi vincoli residui rimasti in piedi). "Vogliamo che il tetto previsto per i contratti a termine e di somministrazione sia elevato almeno dal 20% al 30% del totale dei dipendenti": accordato. "Vogliamo che per la proroga dei contratti di sommistrazione sia esclusa la causale": accordato. "Vogliamo che per i contratti di somministrazione sia tolto l'obbligo di 'stop and go', di una pausa, tra un contratto e l'altro": accordato. "Vogliamo che la cancellazione dello staff leasing sia cancellata": accordato. "Vogliamo che il lavoro domestico sia escluso dalle nuove norme": accordato. "Vogliamo che la decontribuzione al 50% a favore delle imprese che assumono a tempo indeterminato con il Jobs Act gli under 35 sia rinnovata almeno per il 2019 e il 2020": accordato. "Vogliamo che i voucher (che avevate giurato di cancellare per sempre) siano reintrodotti almeno in agricoltura e negli alberghi": accordato, nessun problema!

I padroni e le famose lobby ci hanno messo poco ad ottenere le modifiche che volevano, avendo trovato zero resistenza. Il decreto 1.0 era "per la riconquista della dignità dei lavoratori", il decreto 2.0 è statao ribattezzato da Di Maio stesso un decreto "per la dignità degli imprenditori e dei lavoratori"... E così, dopo avere promesso tanto ai precari, Di Maio e i suoi si rivelano dei semplici venditori di fumo. Anche perché davanti alla minaccia dei voraci imprenditori veneti ("non riconfermeremo i contratti a tempo determinato", faremo turn-over) o alla esplicita dichiarazione di altri ("sarà inevitabile il maggior ricorso al lavoro nero"), il ministro del lavoro si è ben guardato dal replicare a muso duro. Questo governo abbaia ai rifugiati, agli immigrati, ai rom, agli scioperanti, e li morde; ma non si permetterebbe mai di abbaiare neanche per gioco ai capitalisti!

Del resto, una volta approvato il decreto 2.0, i capi leghisti e pentastellati si sono affrettati ad assicurare che la finanziaria conterrà una serie di misure tutte a favore delle imprese, e non stentiamo a crederlo.

Per spazzare via realmente la precarietà, il supersfruttamento, le umiliazione continue sui posti di lavoro, sarà bene confidare solo sulle nostre forze e sulla lotta unitaria di tutti i lavoratori, e non delegare il nostro futuro ai Salvini e ai Di Maio, che sono al servizio dei padroni anche quando sembrano lanciare qualche briciola (avvelenata o dopata) ai lavoratori.

Questo risulta ancor più evidente se diamo uno sguardo alla reazione del governo alle stragi di braccianti africani nel foggiano avvenute in questi giorni. "Chiuderemo i ghetti", "Perseguiremo i caporali", "Faremo dei concorsi per ispettori del lavoro", assicurano Salvini&Di Maio. Pagliacci! Imbonitori! Il supersfruttamento del lavoro dei braccianti neri non dipende né dai ghetti (che sono solo una conseguenza di paghe da fame che non consentono ai braccianti di avere un alloggio un minimo decente), né dai caporali (che sono l'ultima ruota del carro), né dalla mancanza di ispettori. Dipende dallo strapotere dei colossi della grande distribuzione (Eurospin, Coop, Auchan, Carrefour, Lidl, Famila, etc.) e dell'agribusiness (Coca Cola in testa), e dall'avidità dei proprietari terrieri che assoldano caporali e malavita organizzata sotto gli occhi apparentemente distratti, in realtà compiacenti, di polizia, carabinieri, magistratura e governo. Ma chi si aspetta che questo governo muova un solo dito contro questi poteri globali e locali che massacrano il lavoro bracciantile degli immigrati e anche degli italiani, resterà amaramente deluso.

Per conquistare condizioni dignitose di lavoro nelle campagne rivendicate da tante rivolte e lotte dei nostri fratelli di colore contro il clima di terrore che regna nelle campagne, servirà un movimento generale che unisca le loro forze a quelle dei lavoratori di tutti i settori, rompendo il loro isolamento.

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