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«Ora serve un progetto complessivo per l’Umbria»

Intervista di Massimo Sbardella al Segretario Regionale della Cgil dell'Umbria Vincenzo Sgalla per Umbria Economia, inserto economico de Il Giornale dell’Umbria
Lavoro
Umbria 21/10/2015 - 17:01

Un confronto complessivo su dove l’Umbria sta andando. E sulle conseguenti politiche di supporto per un’economia che tenta a fatica di uscire dalla crisi ed un tessuto sociale fortemente provato da questi anni. Poi ci sono le singole “partite”, molte delle quali da giocare soprattutto su tavoli istituzionali nazionali. Ða segretario generale della Cgil dell’Umbria, Vincenzo Sgalla, rivolge un appello alla Regione, alle associazioni datoriali ed alle altre sigle sindacali: «Non limitiamo i nostri confronti alle singole problematiche, altrimenti rischiamo di perdere il quadro d’insieme per la nostra Umbria».

Segretario Sgalla, ormai tutti gli studi sull’andamento dell’economia umbra concordano nell’evidenziare segnali di ripresa, anche se non omogenei. Qual è la percezione della Cgil umbra?

«Noi abbiamo un osservatorio empirico. Meno scientifico, certo, ma più a contatto con la realtà e soprattutto in grado di guardare oltre i freddi numeri. E la sintesi è questa: nessuno nega che, dopo aver toccato il fondo, ci sia un’inversione di tendenza. Ma il punto vero è: vogliamo legare a questa ripresa l’idea di garantire l’occupazione, attraverso adeguiate politiche di supporto, oppure lasciamo indietro migliaia di persone? Cassintegrati, disoccupati, lavoratori messi in mobilità: quali risposte per queste persone? Persone che noi conosciamo bene, che hanno nome e cognome. Ecco quello che i numeri dei Centri studi spesso non dicono».

Qualcuno potrebbe dire che il vostro è un atteggiamento “da gufi”…

«Guardi, piuttosto la Cgil, proprio perché vuole continuare a rappresentare anche queste persone che rischiano di essere lasciate indietro, ha un atteggiamento, se mi consente, più lungimirante: occhio, è il messaggio che noi lanciamo, non prendiamo decisioni che siano solo il frutto di una “sbornia da ripresa”».

Dite questo al Governo?

«In quest’ ottica al Governo contestiamo, ad esempio, la scelta di togliere l’Imu sulla prima casa e di non destinare invece queste risorse per favorire la mobilità in uscita, creando così nuova occupazione. Per una questione di equità sociale, ma nella convinzione che alla ripresa si debba appunto agganciare la creazione di nuovi posti di lavoro. Ed invece si sceglie bloccare il turn over, agendo sulle pensioni».

Attenzione, segretario, che poi c’è chi contesta al sindacato di rappresentare ormai più i pensionati che i lavoratori…

«La nostra critica è supportata dai pensionati, ma riguarda le persone che ancora sono al lavoro e che si sono visti spostare in avanti il momento della meritata pensione. La correzione di una legge ingiusta, qual è la riforma Fomero, sbloccando la fles sibilità in uscita, rimetterebbe in moto l’occupazione».

Non lo fa il Jobs Act?

«Ottomila euro per 3 anni, sono 24mila euro. Servono a stabilizzare, certo: da precari, si diventa un po’ meno precari. Perché prevedere, infatti, la libertà di licenziare senza giusta causa?».

Crede che, in generale, la crisi abbia indebolito il lavoratore di fronte al suo datore?

«La posizione dei lavoratori, come dice lei, è stata già fiaccata dalla crisi. L’abolizione dell’articolo 18 ha ulteriormente indebolito la cosiddetta “cittadinanza democratica” dei lavoratori, anche di quelli che erano già occupati e che quindi non subiscono la riforma».

Ed a livello locale, quali leve, con bilanci cosi risicati, hanno Regione e Comuni?

«La situazione dei Comuni andrebbe analizzata singolarmente, ma mi sembra che le risorse, visti i bilanci, siano scarsissime. Ma anche nel caso della Regione le disponibilità per supportare il tessuto economico e sociale sono poche. Le riforme istituzionali imposte da Roma; i servizi ai cittadini; il trasporto pubblico locale; il Sistema sanitario regionale che vive della rendita di positive performance negli anni, ma che deve subire nuovi tagli; il sostegno al tessuto imprenditoriale. Tutto’ ciò avrebbe bisogno di adeguate risorse e di una soluzione strutturale. Ma se questi capitoli li affrontiamo ciascuno soltanto come un problema a sé stante…».

E come vanno affrontati invece, a vostro giudizio?

«Con Cisl e Uil vogliamo aprire un confronto con la Regione, ma anche con le associazioni di categoria e l’Università, sul quadro delle cose da fare per l’Umbria e su quali di queste siano prioritarie. Necessita un progetto complessivo. Non dico che serva un progetto di tre anni, ma alla fine di questa legislatura dovremmo sapere in che direzione sta andando l’Umbria e cercare di governare questi processi. Altrimenti la settorialità dei problemi rischia di far perdere il quadro d’insieme».

Un piano per l’Umbria?

«Non ci inventiamo niente. L’Emilia Romagna l’ha fatto. Ponendo al primo punto la legalità. Ecco, governare i processi significa, ad esempio, garantire che la ripresa non sia inquinata da forze economiche illegali».

Un esempio?

«Una normativa sugli appalti, almeno quelli pubblici, che sia da deterrente alle infiltrazioni criminali».

Pensa che i lavori pubblici siano l’unica medicina per un malato cronico qual è il settore delle costruzioni? «Quando immaginiamo un progetto complessivo per l’Umbria, pensiamo ad esempio ad un piano di interventi per il recupero dei centri storici, che serva anche ad incrementare l’offerta turistica di questa regione. Non pensiamo certo di riportare le costruzioni ai livelli del 1998. In questa ricerca della qualità, possiamo anche coinvolgere l’Università».

Lei parla di iniziativa unitaria con le altre sigle sindacali. Nel recente passato, anche per gli echi delle vicende romane, non sempre siete andati a braccetto. Quau sono ora i rapporti con Cisl e Uil?

«La situazione nazionale è migliore di quella precedente. E in Umbria, da parte mia c’è una ricerca costante e determinata di un confronto e di una sintesi di vedute».

E con le associazioni datoriali?

«Il rapporto, con loro, è sempre un po’ delicato… La Cgil è pronta ad una discussione per affrontare fattivamente i temi della ripresa, dell’occupazione, delle crisi aziendali».

Vediamo le grandi crisi aziendali umbre. Per i lavoratori della ex Merioni non c’è pace.

«Al di là della vicenda di JP, alla quale siamo attaccati come l’osso al cane, ma che presenta oggettivamente delle criticità, noi siamo convinti che la strada degli incentivi economici per garantire il reimpiego non vada abbandonata. Se ci sono modifiche da fare, facciamole, ma non arrendiamoci all’idea che una soluzione non possa essere trovata».

Altra situazione, ma anche alla TkAst i dipendenti sono sempre sulla corda…

«Una multinazionale qual è la Tk, dopo quanto successo a Terni, deve mantenere un rapporto più stretto tra management e rappresentanze sindacali. È un processo di percorso. Un accordo difficile può essere gestito solo col coinvolgimento dei lavoratori. Anche io ero a Terni per ascoltare Morselli nel confronto con il nostro segretario Camusso: bene, ma l’interlocuzione va mantenuta».

Nei giorni scorsi da parte del management Ast è stata data la disponibilità al confronto sulle modalità di attuazione del contratto…

«Speriamo che questo atteggiamento prosegua. Cito ancora Morselli: l’eccellenza di ciò che viene prodotto a Temi ha consentito di recuperare le quote di mercato perse durante la vertenza. E allora salvaguardiamo il prodotto e chi lo fa. Nel frattempo, stiamo lavorando anche perché vengano recuperati i rapporti con i lavoratori delle ditte terze».

Capitolo Perugina. Dall’incontro romano con i vertici Nestlé lei vede il bicchiere mezzo pieno o quello mezzo vuoto?

«Glielo dico in perugino: manco mezzo bicchiere! La soluzione ai problemi posti dalle Rsu e dalle categorie non può essere solo la previsione di un altro periodo di utilizzo degli ammortizzatori sociali. Certo, è importante avere gli strumenti per far fronte alle necessità, ma servono anche le idee per risolvere criticità che, oggettivamente, ci sono. Vorrei ricordare che Nestlé nel tempo ha mollato i gelati, venduto Buitoni, dismesso molti marchi: nel 1992 aveva qui 8.900 dipendenti. Nonostante questo, il Gruppo ha in Italia fatturati ancora molto alti. E allora, non può abbandonare le produzioni in Italia. Serve l’intervento del Governo: Ne- stlé non può trattare l’Italia a pesci in faccia».

Il direttore Toia, a Roma, ha detto che si sta predisponendo il piano industriale. È credibile che Nestlé non abbia già un piano per gli stabilimenti in Italia e tra questi San Sisto?

«Purtroppo sì».

Dunque, segretario, si vive alla giornata?

(Allarga le braccia) «Interpreti lei questa mia risposta, io non aggiungo altro…».

In un’intervista esclusiva rilasciata a Umbria Economia Piergiorgio Giuliani ha parlato della cordata pronta a rilevare da Nestlé il sito di San Sisto e gli storici marchi. I lavoratori come hanno reagito a questa notizia?

«Le rispondo con un commento che ho realmente sentito: “Ai lavoratori non interessa il colore del gatto, basta che acchiappi il topo”. Ma lasciando da parte le battute, dipende dalla solidità della cordata, dal piano industriale, anche se apprezziamo che si sia partiti da quello predisposto dai lavoratori».

Nestlé ha però detto che Perugina non è in vendita?

«Già. Ma come sempre, tutto ha un prezzo. Stiamo a vedere. Noi abbiamo un approccio molto laico, non . facciamo a priori il tifo per nessuno, anche perché di questa cordata al momento si sanno solo indiscrezioni giomalistiche».

Il settore Moda del Perugino è diventato la locomotiva dell’export umbro. Possibili politiche per supportarlo? «La nostra regione non ha una particolare vocazione storica, anche se questa terra può vantare alcune grandi firme. I leader umbri del settore non chiedono politiche di supporto. Mi riferisco a Cucinelli. Possiamo solo prendere atto delle sue scelte. D’altro canto, il sindacato non è entrato all’intemo della sua azienda…».

Tempi duri anche per chi lavora nel pubblico impiego…

«La vertenza in atto nelle Province è particolarmente odiosa: non basta la crisi, si vengono a creare esuberi per decreto. E al contempo la Regione apre una selezione per lavoratori, a termine. Mettiamoci d’accordo. È facile, in questo momento storico, parlare di tagli nel pubblico. Vorrei ricordare che spesa pubblica non è solo salario per i dipendenti, ma servizi per i cittadini, snellimento burocratico – quello giustamente invocato dalle imprese – creazione di una macchina amministtativa moderna ed efficiente».